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Leggende del territorio Angerese

Leggende : Il mostro del lago
Inviato da alvinio il 2013/04/20 (1981 letture)

Tanti tanti anni fa ad Angera, in una casetta non lontana dal lago, abitava un pescatore con la moglie e i suoi bambini.
Una mattina, dopo giorni e giorni di pioggia era finalmente uscito un bel sole, il bambino chiese alla mamma il permesso di andare al lago con la sorellina.
"No, bambini, non potete andare, disse la madre, lo sapete che è pericoloso stare sulla riva."
Infatti, in quel tempo, viveva nel lago, dove l´acqua è più profonda, un enorme serpente che, ogni tanto, dopo aver raggiunto la riva avvolto in una nuvola nera, soffiava sui bambini il suo alito rovente e poi se li mangiava in un boccone.
Ma c´era un cielo così chiaro quel giorno e l´orizzonte era tanto limpido che i due fratellini finirono per ottenere il permesso di attraversare il boschetto di querce e di raggiungere la riva.
Il lago splendeva sotto il soffio dell´inverna e nell´acqua trasparente si vedevano guizzare fra le erbe del fondo tanti pesciolini d´argento. I bambini erano così intenti a guardarli che non si accorsero di un nuvolone nero che avanzava verso di loro finché il sole non ne fu oscurato. Passò nell´aria un brivido freddo che fece alzare gli occhi al bambino: dalla nuvola nera usciva una lingua di fiamma.
"Scappiamo, scappiamo, c'è il drago!" gridò alla sorellina. La prese per mano e corsero insieme verso il boschetto.
Ma il mostro del lago, che ormai aveva raggiunto la riva, cominciò a soffiare su di loro il suo alito rovente. Riparati dietro il tronco di una grande quercia i due bambini, tremanti di paura, sentivano le foglie crepitare per il terribile calore, mentre rami infuocati cadevano tutt'intorno, rischiarando per un attimo il buio. Di lì a poco anche la quercia sarebbe stata incenerita dalle fiamme che uscivano fischiando dalle narici del drago.
Ma, all'improvviso, si sentì uno scalpitio di cavalli, poi al bagliore degli incendi si videro luccicare gli elmi e gli scudi di un gruppo di armati. Li guidava un cavaliere che avanzava al galoppo con la spada sguainata: era Uberto Visconti, il guerriero più coraggioso di quei tempi.
Uberto si slanciò contro il drago e scomparve nel buio. Giungeva dal lago il rumore della battaglia: bang bang, risuonava la spada sulle squame del serpente, swiss splash, rispondeva il mostro con fischi e colpi di coda.
Poi un gran tonfo e, dopo, il silenzio.
"Fratellino,  disse la bambina che teneva gli occhi chiusi per lo spavento,  guarda tu che io non ne ho il coraggio."
"Apri gli occhi, sorellina, gridò esultante il bambino, è tornato il sole!"
E infatti il cielo era di nuovo limpido e il sole faceva risplendere l'elmo e la spada di Uberto che usciva vincitore dal lago.
Da quel giorno il serpente apparve soltanto sulle armi dei Visconti e i bambini di Angera tornarono a giocare tranquillamente sulla riva.

Testo tratto da: "L'Albero del Tempo"di Franca Nobili, Ediz. Amministrazione Comunale di Angera, 2003.

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Leggende : Il sass margunin
Inviato da alvinio il 2013/04/04 (4377 letture)

Nel castello che sorge sul colle della Rocca viveva, tanti anni fa, un nobile signore che aveva una figlia, la bellissima Radegonda. Il padrone del castello e gli abitanti del borgo sarebbero vissuti in pace se non fosse stato per le scorrerie del marchese Margolfo che chiedeva sempre nuove tasse e, quando i poveri angeresi non riuscivano a pagare in tempo, arrivava a cavallo coi suoi armati e devastava e incendiava i campi, i prati, le case. Quando dal torrione della Rocca si vedeva in lontananza la nuvola di polvere che preannunciava l'arrivo di Margolfo, la bella Radegonda scendeva al paese e si rifugiava nel suo padiglione, fra gli alti pioppi dell'isolino Partegora. Ma un brutto giorno - c'era tanta nebbia che non si vedevano nemmeno le mura del castello - il marchese arrivò inaspettatamente e Radegonda non fece in tempo ad andarsene.

Quando Margolfo la vide, decise immediatamente di sposarla e il castellano, anche se a malincuore, dovette concedergli in moglie la sua amatissima figlia, perché il marchese era un uomo molto potente e non si poteva contraddirlo. Gli disse quindi di ritornare dopo due mesi, giusto il tempo di preparare i festeggiamenti.
La povera Radegonda era disperata: non mangiava più, non dormiva più e piangeva, piangeva da far compassione anche alle pietre.

Poco prima della data stabilita per le nozze, decise di andare al padiglione dell'isolino per dare un addio ai suoi cari pioppi, alla famiglia di cigni che aveva fatto il nido nel canneto, all'usignolo che la rallegrava con le sue serenate.

Ma quella sera l'usignolo non cantava. Radegonda alzò lo sguardo per cercarlo, ma vide soltanto le nuvole che correvano veloci al di sopra dei rami.

A un tratto notò che una di queste nuvole, bianca, luminosissima, scendeva sull'isolino. Chiuse gli occhi, abbagliata da tanto splendore e, quando li riaprì, accanto a lei c'era un giovane bellissimo: era il principe delle nuvole che, impietosito dalle sue lacrime, cercava di portarle conforto.

Da quella sera Radegonda passò le sue giornate all'isolino e la compagnia del giovane principe quasi le faceva dimenticare che si avvicinava il momento delle nozze.
Ma il giorno tanto temuto arrivò. Giunto il marchese Margolfo con la sua scorta, non trovò Radegonda e nessuno gli volle dire dove fosse nascosta. Nessuno eccetto una vecchia malvagia che viveva in una casetta sulla riva del lago: la vecchia si era accorta che mancava la barchetta di Radegonda, ormeggiata di solito sulla riva.

Fu così che Margolfo venne a conoscenza del nascondiglio della promessa sposa e, sceso alla riva del lago di fronte all'isolino, cominciò a chiamarla, ordinandole di tornare subito a riva altrimenti sarebbe andato a prenderla lui stesso.

Radegonda continuò a tacere anche quando un tonfo e un forte sciacquio le fecero capire che Margolfo si era buttato nell'acqua e stava nuotando verso di lei. Allora il principe delle nuvole si rivolse alle sue sorelle, le nuvole nere, perché accorressero in aiuto della bella Radegonda.

Dal cielo, improvvisamente coperto di nubi temporalesche, un fulmine si abbatté sul marchese che, trasformato in un macigno, si inabissò nel lago.

Tutti si rallegrarono per la fine del tiranno, pensando che con lui fossero finiti anche i loro guai. Ma non fu così.

Pochi anni dopo la zona fu colpita da una grande siccità. Le acque del lago si erano molto abbassate, e un giorno un pescatore che stava attraversando con la sua barca il braccio di lago che separa la riva di Angera dall'isolino Partegora fece appena in tempo a evitare uno scoglio di cui non si era mai accorto.
Si fermò, gli girò intorno, e vide incise sulla roccia queste parole: QUANDO MI VEDRETE PIANGERETE
E piansero davvero quell'anno gli abitanti di Angera, perché nei campi, a causa della siccità, non crebbe nemmeno un filo d'erba. Ancora oggi quando quel sasso affiora dall'acqua del lago, l'erba cresce a stento nei prati, gialli e riarsi come dopo le scorrerie del terribile Margolfo.

 

Testo tratto da: "L'Albero del Tempo" di Franca Nobili, Ediz. Amministrazione Comunale di Angera, 2003.

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